la giovinezza al carmine

Filippo di Tommaso Lippi nasce a Firenze nel 1406 da una famiglia modesta, che abita in Oltrarno nella contrada detta Ardiglione, fra via dei Serragli e il convento del Carmine. Persa la madre “non molto dopo averlo partorito”, a due anni Filippo vede morire anche il padre Tommaso, di professione ‘beccaio’ (cioé macellaio), e resta affidato alle cure di una zia sorella del padre, monna Lapaccia, insieme al fratello Giovanni, di due anni più grande. La povertà dei mezzi costringe la zia, dopo averlo “allevato con suo disagio grandissimo” fino all’età di otto anni, a chiedere aiuto ai frati carmelitani del vicino Convento del Carmine, che accolgono e allevano i due ragazzi cercando di dar loro un mestiere e un futuro.

L’8 giugno del 1421, superato come voleva la Regola il quattordicesimo anno d’età, Filippo prende i voti, mantenendo lo stesso nome di battesimo. L’atto, preceduto da un anno di noviziato, è rogato da ser Filippo di Cristofano (Poggi, 1936). Dal 1422 al ’32 varie notizie informano sulla presenza e la vita di Fra Filippo al Carmine, come l’abituale donativo per gli abiti (ininterrotto dal ’25 al ’32) o la chiave fatta dal convento per l’uscio della sua cella. Risultano poi un viaggio a Pistoia (luglio 1424) e ancora a Siena e a Prato (agosto 1426).

Nel frattempo Filippo ha studiato, ma non sembra molto versato nell’apprendimento delle lettere, rivelandosi invece “destro ed ingegnoso nelle azioni di mano”.

“In cambio di studiare – ricorda il Vasari – non faceva mai altro che imbrattare con fantocci i libri suoi e degli altri; onde il priore si risolvette a dargli ogni comodità ed agio d’imparare a dipignere”.

Il conferimento della regola del Carmelo (o un episodio di vita eremitica), Firenze, Convento del Carmine, sala adiacente al chiostro Affresco staccato e lacunoso, cm. 386×480, più un’appendice di cm 95×137

fra filippo e masaccio

Il caso vuole che dal 1422, grazie al testamento del ricco mercante Felice Brancacci, la chiesa di Santa Maria del Carmine diventi lo scenario di un evento dirompente per la storia della pittura italiana. Il Brancacci fa costruire per la sua famiglia una cappella la cui decorazione viene affidata, nel 1424, a Masolino da Panicale. Questi porta con sé nell’impresa il giovane Masaccio (1401-1428), uno dei massimi geni dell’arte del Rinascimento.

Nel cantiere della Brancacci si riversa, ammirata, tutta la città, mentre Fra Filippo vede nascere sotto i suoi occhi un capolavoro che parla un lingua nuova e modernissima: “Ogni giorno per suo diporto la frequentava, e quivi esercitandosi del continovo in compagnia di molti giovani che sempre vi disegnavano, di gran lunga gli altri avanzava di destrezza e di sapere…”

Insomma, la tradizione vasariana vuole che Fra Filippo abbia imparato l’arte davanti agli affreschi di Masaccio, e che poi ne abbia riprodotto i moduli in una serie di opere dipinte nel convento e nella chiesa del Carmine, oggi tutte perdute tranne una (la cosiddetta Conferma della Regola Carmelitana, affrescata nel chiostro entro il 1431) a causa del terribile incendio che nel 1771 danneggiò gravemente il complesso. “E così ogni giorno facendo meglio, aveva preso la mano di Masaccio si che le cose sue in modo simili a quelle faceva, che molti dicevano lo spirito di Masaccio essere entrato nel corpo di Fra Filippo”.

Nel 1430 i documenti del convento lo definiscono per la prima volta “dipintore” (Poggi, 1936), mentre nel 1431 il Lippi figura iscritto alla Compagnia di Santa Maria alle Laudi, alla quale era affiliato Masolino, e il 3 di maggio è registrato il suo contributo (Caioli, 1958). E’ probabile che abbia abbandonato il convento entro il 1432 ma i successivi documenti che lo ricordano con certezza sono del 1434 quando, il 1° di luglio, riceve 11 once di oltremarino per dipingere il Tabernacolo delle Reliquie nella Basilica del Santo a Padova (Guidaldi, 1928).

Varie fonti (il Filarete, l’Anonimo Morelliano, il Vasari) ricordano una serie di opere dipinte nella Basilica del Santo, come “Una Coronazione della Nostra Donna a fresco” e un intervento nella decorazione della cappella del Podestà, ma tutta la sua attività di questo periodo è andata perduta.

In questi anni si colloca anche un episodio curioso raccontato dal Vasari e dal novellista Matteo Bandello (che diceva averlo saputo da Leonardo da Vinci) ma di cui non esistono prove: trovandosi nella Marca d’Ancona ed uscito a pesca in barca con alcuni amici, il Lippi sarebbe stato catturato dai pirati saraceni e tenuto schiavo per diciotto mesi, finch’è la sua bravura nel dipingere un ritratto del suo padrone non gli avrebbe fatto riguadagnare la libertà.

Madonna col Bambino in trono (Madonna di Tarquinia), Roma, Galleria di Palazzo Barberini (in deposito dal Museo Nazionale di Corneto Tarquinia) Tempera su tavola, cm 114×65, cornice originale

i primi capolavori

Ritroviamo con certezza Fra Filippo a Firenze nel 1437 quando, l’8 di marzo, un certo Jacopo di Filippo orafo si fa garante per lui su un anticipo di 40 fiorini per la pittura della Pala dell’altare Barbadori nella chiesa di Santo Spirito (oggi al Louvre). Nello stesso anno viene terminata la cosiddetta Madonna di Tarquinia, eseguita per il cardinale Vitelleschi, arcivescovo di Firenze dal 1435 al ’37, uno dei primi punti fermi del catalogo lippesco.

La fama del pittore è nel frattempo arrivata ai massimi livelli. Il 1° aprile del 1438 Domenico Veneziano scrive una lettera a Piero di Cosimo de’ Medici raccomandandosi per la commissione di una tavola d’altare che Cosimo vorrebbe far dipingere e assicurando di poter mostrare la sua abilità, non inferiore a quella del Lippi (che è “bon maestro”) e dell’Angelico.

L’anno successivo è lo stesso Lippi a scrivere a Piero de’ Medici, cercando affannosamente di ottenere denaro e cibarie in cambio di una sua tavola ancora incompiuta, essendo egli “uno de’ più poveri frati che sia in Firenze”, con sei nipoti fanciulle da marito, inferme e incapaci di lavorare. Il dipinto è probabilmente il San Gerolamo in penitenza citato nell’inventario mediceo del 1492 e oggi nel museo di Altenburg.

Il bisogno continuo di denaro, la lentezza nel consegnare le opere commissionate e una certa propensione per le donne e la vita sregolata segneranno continuamente la vita di Fra Filippo, facendone, al contrario dell’Angelico, un personaggio molto discusso. Già dal ’39, ad esempio, è probabile che non abitasse più nel convento del Carmine ma avesse casa per conto suo.

Come pittore, però, è stimatissimo, e le sue opere vengono richieste da famiglie di alto livello come i Martelli, legati ai Medici: per loro, che detengono il patronato della Cappella degli Operai in Santo Spirito, dipinge verso il 1440-42 una Annunciazione che passa attraverso il modello della ‘Annunciazione Cavalcanti’ di Donatello in Santa Croce e che dimostra come la cultura figurativa dell’artista non si sia fermata agli esempi della pittura ma sia stata molto sensibile anche alle novità proposte dalla scultura.

Fra il 1439 e il ’47 realizza una altro capolavoro, la cosiddetta Incoronazione Maringhi degli Uffizi, commissionata dal canonico Francesco Maringhi per l’altar maggiore di Sant’Ambrogio. La grande pala diventa subito uno dei dipinti più ammirati della città, come attestano i molti disegni che gli artisti del tempo hanno tratto da ogni singola parte della vasta e ricchissima composizione. Per questa tavola Fra Filippo sarà pagato, compresi i materiali, ben 1.200 fiorini. Accanto a lui, i documenti citano almeno tre aiutanti fra cui il giovane Fra Diamante, poi suo strettissimo e fraterno collaboratore per il resto della vita.

Nel frattempo, risulta che Fra Filippo abbia dipinto la cassa per le esequie di Sant’Andrea Corsini (1440), lavorato per il convento delle Murate (1443, ‘Annunciazione’ della Alte Pinakotek di Monaco) e per la Cancelleria del Palazzo dei Signori (pagamento del 16 maggio 1447: il documento è citato da Filippo Baldinucci ma oggi è perduto). Ai lavori eseguiti per Palazzo Vecchio appartiene quasi certamente laApparizione della Vergine a San Bernardo oggi alla National Gallery di Londra, che nella forma anomala denuncia la sua destinazione a sovrapporta.

l’impresa di prato

Ai primi del 1452 comincia per Fra Filippo la lunga avventura della decorazione del Coro della Pieve di Santo Stefano a Prato, che lo occuperà fino al 1465.

Stanziata per gli affreschi e la vetrata la somma di 1.200 fiorini e ricevuto nel marzo del ’52 il rifiuto del Beato Angelico, il Comune di Prato decide di affidare il prestigioso incarico a Fra Filippo, che subito accetta e si reca a Prato: il suo nome compare nei documenti fino dal 6 di maggio. Pur di averlo, gli Operai di Santo Stefano si impegnano a pagare una penale di 22 fiorini a Leonardo Bartolini, che ha commissionato al Lippi un Tondo con Storie della Vergine e teme che il pittore non riuscirà più a terminarlo.

La decorazione della Cappella Maggiore di Santo Stefano, molto impegnativa, si svolgerà nell’arco di tredici anni fra interruzioni, richieste di denaro, solleciti per la conclusione dei lavori, fughe del pittore, verifiche e rinegoziazioni del contratto.

Nel frattempo, il frate avrà modo di dipingere molte altre opere, specie nei mesi invernali, quando il freddo avrebbe comunque reso impossibile lavorare sui ponteggi di Santo Stefano.

Fra l’altro, eseguirà per l’Opera Pia fondata da Francesco Datini la tavola con la cosiddetta Madonna del Ceppo (pagamento finale 8 maggio 1453), le monumentali Esequie di San Gerolamo per il preposto Geminiano Inghirami, il complesso Tondo Cook di Washington con la ‘Adorazione dei Magi’, la ‘Adorazione d’Annalena’ per l’omonimo convento fiorentino (verso il 1455), la Pala per Alfonso d’Aragona commissionata da Giovanni de’ Medici (assenso all’esecuzione da parte del Comune di Prato il 12 maggio 1456), le quattro vele della volta sopra la tomba di Geminiano Inghirami nella chiesa di San Francesco (dal febbraio 1460, affreschi perduti), la ‘Adorazione di Camaldoli’ per la cella della famiglia Medici all’interno dell’Eremo e la famosa ‘Lippina’, cioé la straordinaria Madonna col Bambino e Angeli oggi agli Uffizi che darà il via ad una lunga serie di ‘Madonne col Bambino’, replicate per i secoli a venire.

Il volto è quello, bellissimo, di Lucreza Buti, monaca nel convento pratese di Santa Margherita di cui Fra Filippo è stato nominato cappellano all’inizio del 1456. L’uomo, molto sensibile al fascino femminile, se ne innamora a prima vista e, dopo averla fatta posare per i suoi dipinti, la convince a lasciare il convento e la porta a vivere nella casa acquistata nel maggio del 1455 dall’Opera del Cingolo: nel 1457 ai due nascerà il figlio Filippino, divenuto poi anch’esso pittore.

Adorazione dei Magi (Tondo Cook), Washington, National Gallery of Art (dal 1952) Tempera su tavola, diametro cm 137,2

la protezione dei medici

Le committenze medicee, già iniziate col ‘San Gerolamo’ per Piero il Gottoso e con la Pala per la Cappella del Noviziato in Santa Croce richiesta da Cosimo il Vecchio (1445-50), si intensificano dopo il 1456-’58 grazie al grande favore incontrato presso Alfonso d’Aragona dalla Pala che Cosimo il Vecchio gli ha mandato in dono (e di cui restano solo due pannelli laterali nel museo di Cleveland). Nascono così, fra il 1458 e il ’60 la coppia di lunette con la Annunciazione e Sette Santi per Palazzo Medici Riccardi (oggi Londra, National Gallery), e l’innovativa Adorazione del Bambino con San Bernardo e San Giovanino oggi a Berlino, eseguita per l’altare della Cappella dei Magi in Palazzo Medici, una delle rare opere firmate dall’artista. Anche qui, come spesso avviene, Fra Filippo dimostra di potere modificare con estrema facilità e gusto la consueta iconografia del soggetto e di sapere padroneggiare con disinvoltura l’illustrazione dei testi sacri: dalla tradizione scolastica fino alle più recenti novità della teologia antiriformista.

Ultima opera per i Medici, eseguita probabilmente verso la fine degli anni Sessanta, sarà la Madonna col Bambino, unica sua opera che oggi si trovi nella originaria sede di Palazzo Medici, preziosa tavola di devozione privata in cui l’altissima qualità pittorica si unisce a un’autentica tenerezza di sentimento. Al mecenatismo mediceo, forse legato all’occasione della nascita di Lorenzo il Magnifico (1449), potrebbe risalire anche il complesso ‘Tondo Cook‘ di Washington, dove è raffigurata una elaborata versione della ‘Adorazione dei Magi’: si tratta di uno dei primi tondi pervenutici che sia stato concepito quale opera d’arte autonoma, e per la sua esecuzione è stata anche ipotizzata una collaborazione con il Beato Angelico o con Benozzo Gozzoli.

Il favore della famiglia che reggeva le redini del governo fiorentino e l’apprezzamento per la sua arte saranno decivisi nella vita del Lippi: la protezione sempre accordatagli da Cosimo il Vecchio (si trattasse di debiti o di scappatelle amorose) diventerà fondamentale nel 1457 quando Fra Filippo metterà in atto la sua fuga d’amore con Lucrezia Buti: solo per l’intercessione del Medici, nel 1461 papa Pio II concederà ai due peccatori lo scioglimento dai voti.

Anche il completamento degli affreschi di Santo Stefano si può ricondurre in qualche modo ai buoni uffici medicei. La prima modifica del contratto originario risale al 5 aprile 1456, quando un nuovo accordo stabilisce che gli affreschi non debbano costare più di 1725 fiorini e debbano essere compiuti entro due anni. Il 18 agosto dello stesso anno si decide però di sospendere per un anno il finanziamento dei lavori, ufficialmente per mancanza di fondi, in realtà rimpiangendo di non aver controllato più da vicino l’uso che il Lippi faceva del denaro consegnato.

Il frate intanto si dedica, per conto dei Medici, alla Pala per il re di Napoli. Il 18 aprile del 1458 l’acquisto di legname per i ponti nel Coro dimostra che i lavori sono ripresi. Nel settembre del 1459, dopo una nuova interruzione per portare a compimento la tavola con la ‘Trinità’ lasciata incompiuta dal Pesellino, suo ex allievo, il Comune di Prato nomina una commissione per studiare un nuovo contratto col Lippi. Verso la fine del ’59 la vetrata del finestrone del Coro è terminata ma Fra Filippo è all’opera nel chiostro di San Francesco, dove a febbraio del ’60 gli sono stati commissionati alcuni affreschi nella volta che sovrasta il monumento funebre del cardinale Inghirami. Il Proposto muore nel luglio, e il 3 agosto 1460 viene nominato al suo posto il cardinale Carlo de’ Medici, figlio naturale di Cosimo. Fra Filippo riprende il lavoro in Santo Stefano e il 13 aprile del 1461 si registra la discesa dei ponti del Coro ad un livello più basso, segno che sono state terminate le scene dei registri più alti.

Ma c’è un nuovo intoppo e il 26 ottobre del 1463 il Comune elegge una Commissione che si consulti col proposto Carlo de’ Medici a proposito del da farsi: i lavori languono e il pittore continua a chiedere denaro. Si decide di rivedere i conti e costringere il frate a finire l’opera. La Commissione, comunque, alla fine dei suoi lavori dichiara che il Lippi è in credito di 40 fiorini. Dopo un altro pagamento di 26 fiorini (16 marzo 1464), il 6 aprile del ’64 il Consiglio Comunale, grazie all’insistenza del proposto Carlo de’ Medici, delibera di adottare le proposte della Commissione e di pagare al Lippi fino a 80 fiorini ancora – e persino una liquidazione – se l’ultima ‘Storia’ degli affreschi sarà terminata entro il mese di agosto. Anche questo ultimatum non verrà rispettato ma, comunque, a partire dal dicembre 1464 si segnalano pagamenti per la rimozione dei ponteggi e nel corso dell’anno successivo il Lippi riceverà, insieme a Fra Diamante, il saldo dei lavori. Nello stesso 1465 nascerà anche la figlia Alessandra.

Storie della Vergine; Profeti, Spoleto, abside della cattedrale di Santa Maria dell’Assunta – Ciclo di affreschi

il cantiere di spoleto

Nel 1466 Filippo è già al lavoro nel cantiere di Spoleto. L’Opera del Duomo di quella città lo incarica di affrescare con Storie della Vergine la Tribuna della Cattedrale e già l’8 febbraio del ’66 il pittore riceve denaro per pagare oro e azzurro; il 2 luglio però non è ancora al lavoro e l’Opera paga 50 fiorini per portarlo a Spoleto. Il 1° ottobre vengono spesi altri 50 ducati ma invano; in novembre e dicembre lo si cerca a Firenze e Prato ma senza trovarlo.

Come già gli affreschi di Prato, anche l’impresa spoletina è destinata a subire ritardi causati dalla discontinuità del pittore che, sempre bisognoso di soldi, continua a tenersi impegnato con la committenza pratese e pistoiese. Il 18 maggio del 1467 consegna infatti un Paliotto alla Compagnia dei Preti della Trinità di Pistoia. Ad aprile, comunque, il Lippi ha preso a Spoleto una casa con orto e il 13 maggio si ha la prima menzione del figlio Filippino per la spesa di un paio di calze: il padre evidentemente lo ha portato con sé come apprendista. Nello stesso mese si alzano in Duomo i primi ponteggi anche se l’inizio dei lavori, con Fra Diamante come collaboratore principale, sembra sia avvenuto solo nel settembre 1467.

Siamo al 1468, Lippi riceve il pagamento per la Circoncisione dello Spirito Santo di Prato (e pare che usi il denaro per comprare un’altra casa a Prato), ad aprile si ammala e deve tornare nuovamente in Toscana. A novembre si registra lo spostamento dei ponteggi nell’abside di Spoleto: finita la grande ‘Incoronazione della Vergine’ nel catino si scende alle pareti per affrescare le tre ‘Storie’; ma il 2 dicembre il pittore è di nuovo malato e sembra aver ricevuto la visita di Antonio Pollaiolo (forse insieme al fratello Piero). Dal luglio 1469 i pagamenti per gli affreschi di Spoleto riportano anche il nome di Filippino, ormai dodicenne, mentre ad agosto si registra l’acquisto di abiti per il garzone Piermatteo d’Amelia e a settembre – rispettivamente il 10 e il 30 del mese – Filippo compra colori e vino.

La ripresa è di breve durata: fra l’8 e il 10 di ottobre Filippo muore. Viene sepolto nel Duomo di Spoleto, di fronte alla porta maggiore. In seguito, per interessamento di Lorenzo il Magnifico, il figlio Filippino disegnerà il sepolcro di marmo con il busto a rilievo e un epitaffio dettato da Agnolo Poliziano.

Gli affreschi della Tribuna saranno conclusi il 23 dicembre, con un costo complessivo di 700 ducati, dei quali 511 consegnati a Filippo, 137 a Fra Diamante e 48 versati in più volte a Filippino dopo la morte del padre.

“Fu fra Filippo molto amico delle persone allegre e sempre lietamente visse – scriverà di lui il Vasari – Delle fatiche sue visse onoratamente e straordinariamente spese nelle cose d’amore, delle quali del continuo, mentre che visse, fino alla morte si dilettò”.

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